In cammino con... Tolkien - 40

In cammino con... Tolkien - 40

Tolkien considerava, alla stregua dello storico britannico Cristopher Dawson (1889-1970), la “brutalità e la bruttezza” (con questi termini le definiva) della vita europea contemporanea. Nel suo mirabile saggio Sulle fiabe, Tolkien riprendeva un saggio di Dawson, Progress and religion, nel quale veniva fortemente criticata l’essenza della cultura del secolo XIX: “L’intera panoplia vittoriana di cilindri e frac… è priva di quella diretta ed inevitabile bellezza che tutti gli indumenti dovrebbero avere, perché, al pari della cultura di cui era figlia, era avulsa dalla natura pure da quella della natura umana”.

Una critica molto accesa che Tolkien e Dawson condividevano, seppur da punti di vista, anche artistici, diversi. Per Tolkien l’era di mezzi migliori per scopi peggiori, caratteristica della modernità, provocava il desiderio di evadere e, anche per questo motivo, si era proposto di pensare e scrivere un altro mondo, un’altra epoca, con altri personaggi: “Un’epoca siffatta provoca il desiderio di evadere, non proprio dalla vita, ma dal nostro tempo presente e dall’infelicità di cui noi siamo gli stessi autori, ossia il fatto che siamo acutamente consci sia della bruttezza sia dell’iniquità delle nostre opere”.

Agli occhi di Tolkien male e bruttezza erano intimamente connessi e da questa considerazione si evince l’accuratezza con cui tratteggiava i personaggi del suo legendarium che personificavano tale iniquità: Gollum, lo hobbit depravato e corrotto dall’anello del male; Saruman, il saggio vestito di bianco che aveva perso la purezza e la capacità di guardare il bene; gli Orchi e persino i laboriosi Nani stravolti dalla concupiscenza della carne e del potere. Il suo desiderio di evasione da questa triste realtà non era assolutamente una fuga dal mondo, una visione “escapista” che mai gli appartenne. Egli condannava esplicitamente le cose cui fuggire e le elencava dettagliatamente: “Ci sono altre cose, più cupe e terribili da cui fuggire, che non il frastuono, il puzzo, la spietatezza e l’assurdità del motore a combustione interna. Ci sono fame, sete, povertà, dolore, sofferenza fisica, ingiustizia, morte”. A tale “cultura della morte” contrapponeva le sue aspirazioni, le sue legittime fantasie, i suoi valori e principi umani e cristiani: “Ci sono desideri ancora più profondi, come quello di conversare con altri esseri viventi. Su questo desiderio, antico quanto il peccato originale, si fondano in gran parte i dialoghi di animali e altre creature nelle fiabe e soprattutto la comprensione magica dei loro particolari linguaggi”.

Su tutti questi interessanti e approfonditi aspetti, Tolkien si era concentrato in particolare con il più antico e profondo desiderio: l’Evasione dalla Morte. Egli pensava che il mondo di Feeria (le fiabe) fosse eterno quanto l’esistenza dell’uomo e che quindi le fiabe, connaturate all’umano, potessero essere adatte a insegnare a ogni uomo di ogni tempo tante cose, in quanto immortali: “Poche lezioni sono da esse impartite con altrettanto chiarezza quanto quella del peso di un tal genere di immortalità, o piuttosto di una serie senza fine di esistenze, alla quale il “fuggiasco” vorrebbe sottrarsi. Perché la fiaba è soprattutto atta a impartire siffatti insegnamenti, un tempo e oggi ancora”. Un mondo senza fiabe, un mondo cioè dove l’immaginazione legata alla ragione fosse scomparso, sarebbe stato un mondo disumano, un mondo impossibile. Un tale mondo, che paventava essere quello moderno, aveva scisso le relazioni originarie (con Dio, con l’esterno, con gli altri esseri) operando una mutilazione. In tale situazione non si coglieva più nulla dall’interno, vedendo tutto dal di fuori, a distanza, sotto una patina grigia e insignificante.

Fabio Trevisan
Fascia d'età
7-12